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Locarno, Switzerland
Titoli accademici: Licenza in Psicologia clinica, Diploma di specializzazione in psicologia clinica. Professione: Psicologo e Docente

Monday, August 8, 2011

UNA LEZIONE DIVERSA DELLA TRAGEDIA DI OSLO

Egregio Dottor Pio Eugenio Fontana, leggo il suo testo apparso sul CdT del 3 agosto 2011 intitolato “ Quali insegnamenti trarre dalle stragi di Oslo?” e le rispondo pubblicamente da queste colonne in quanto, vista la portata del tema e l’opinione che sembrerebbe voler suggerire al lettore, ritengo imprescindibile che tali argomenti vengano messi sotto la lente di un più ampio dibattito che coinvolga anche altre figure professionali, pensatori o medici che, dell’uso delle armi, hanno opinioni molto distanti dalla sua.



Le dirò subito che il susseguirsi dei sottotitoli che guidano la lettura del suo testo hanno creato in me un effetto inquietante che perdura; così come mi inquietano i contenuti che lei esprime nonché l’accurata selezione degli episodi elencati nel tentativo di dare conforto e rendere più vera la sua ipotesi iniziale, ovvero quella secondo la quale “sarebbe meglio essere armati”. Desidererei, innanzitutto, fornirle un elenco di altri episodi che sembrerebbero non deporre affatto a favore della sua tesi.



E' Davvero meglio essere armati?

Erano armati, caro signor Pio, e lo erano fino ai denti, i militi che scortavano i giudici Falcone e Borsellino. Erano armate tutte le guardie giurate che piantonavano banche e supermercati e che sono stati giustiziate senza pietà da chi della giustizia non sa cosa farsene. Erano armati alcuni miei amici e conterranei che, nell’adempimento del loro dovere, perirono infaustamente perché – come lei sostiene in un passo del suo testo – non reagirono prontamente e si inginocchiarono supinamente ( lei parla di genuflessione!) all’azione dei malviventi.

Si, caro signor Pio, erano tutti armati!

Ma le loro armi più vere erano quelle del coraggio, della buona volontà, della disciplina e, soprattutto, della fiducia che ogni buon cittadino ripone nelle Istituzioni, nello Stato, nella Giustizia e nell’amore per la coerenza!



Il suo scritto, visto da questa per lei nuova prospettiva, mi è parso irrispettoso ed addirittura irritante, come se quelle persone armate del senso più elevato della Democrazia ma – dirà lei - “genuflesse e prone”, fossero state giustiziate per la seconda volta.



Quel triste carnevale

Il mio pensiero, leggendo le sue righe, è subito volato ad un triste carnevale locarnese di alcuni anni orsono ed ho pensato al povero Damiano al quale venne vietato di vivere perché, con tutta probabilità, della violenza egli non sapeva proprio cosa farsene! E non ho potuto fare a meno di pensare alla degna e responsabile reazione della sua famiglia la quale, invece di rispondere con la forza ad una “violenza che crea violenza”, ha ritenuto più saggio, utile e democraticamente sostenibile ingaggiare una battaglia a suon di informazione, sensibilizzazione, dibattiti e sviluppo dell’autocoscienza nei giovani.

Ho trovato altresì irrispettoso il suo scritto anche nei confronti di tutti quei bambini che non sono ancora nati ma che proverranno da famiglie che aborrono l’uso delle armi, che credono nella non violenza, nella società civile, nella democrazia e che saranno concepiti in un atto d’amore, qualsiasi esso sia.



Molti insegnamenti

Si, è vero: i recenti episodi di Norvegia dovrebbero insegnarci molte cose!

Ci insegnano, innanzitutto, che in un’epoca dove il concetto stesso di comunicazione è completamente deprivato dei suoi contenuti più sostanziali, dove tutto viene filtrato dall’immagine e dalle sue manipolazioni, dal cosiddetto “villaggio globale”e dall’azione “Off/On” (accendi quello che ti piace e spegni quello che non ti piace ), dall’usa e getta, e da un’economia mondiale ormai sofferente, è fin troppo facile ributtare tutto sulla minaccia di essere attaccati da un altro uomo - non importa che sia paranoico, pazzo scatenato e oggetto di strumentalizzazione politica - ma che però sia in qualche modo vissuto come pericoloso e nemico.



Il rischio di fraintendimento

In un contesto sociale così disorientato e disorientante, caro signor Pio, l’ipotesi che sia “meglio essere armati” corre il serio rischio di essere fraintesa da tutti coloro per i quali – vittime quasi sempre ignare del loro stesso disagio - la giustizia-fai-da-te è ormai divenuta una molla pronta per scattare. Anzi, essa rischia addirittura di costituire un incitamento ad armarsi, a munirsi di quel coltellino che, nelle notti brave delle “movide” e per motivi inesistenti, è già brillato, insieme al sangue, sotto la cupa luce di silenti lampioni.



Le armi della democrazia

In questo senso, spero che le sia chiaro già sin d’ora che non è certamente disprezzando l’intervento delle Autorità e della Polizia che si aiuta il cittadino a capire il senso della violenza né – tantomeno – lo si aiuta a controllare sue possibili ed inconsulte reazioni. A chi estrae coltello e pistole, semmai, è bene fornirgli tutte quelle giuste considerazioni che lo aiutino a pensare ed a riflettere sui suoi atti immeditati e sul lavoro svolto da una miriade di operatori che agiscono in senso opposto alla violenza.



Noi (e mi riferisco a lei come medico ed a me come psicologo ed insegnante) che – non dimentichiamolo! - ci vantiamo di essere degli umanisti, chiederemmo piuttosto di sostituire al suo consiglio “meglio essere armati” quello senza dubbio più difficile, impervio e doloroso di pensare che sarebbe meglio “se tutti fossero armati di coscienza civile e capacità di riflessione”. Per questa via, sarebbe altrettanto preferibile collaborare con lo Stato e con le sue Istituzioni – anziché criticarle - affinché gli obiettivi comuni di lenire il disagio della Società e gli strazi di povertà e disoccupazione possano davvero essere raggiunti. Ridistribuire meglio il capitale, investire di più nella formazione dei giovani e nella ricerca, dare dignità agli anziani ed alle persone sofferenti, creare posti di lavoro: questi, semmai, sarebbero i bersagli dell’arma della Democrazia che, in sé, non contiene il seme della discordia né della violenza!!!



Un nuovo Umanesimo

Preferiremmo, in conclusione, un nuovo umanesimo capace di rimettere al centro del discorso l’Uomo nella sua essenza, non necessariamente avvalendosi del porto d’armi e di una pretesa legittima difesa, ma auspicando una maggiore e più incisiva presenza del pensiero filosofico sul fatto sociale, sulla politica e sull’economia, non fosse altro che per definire alcune strategie di intervento suscettibili di lavorare per davvero in direzione del benessere della e per la gente.



In un passo entusiasmante del dramma di G.E. Lessing intitolato “Nathan il Saggio”, dopo aver ripercorso l’antica leggenda dei tre anelli e dopo aver tentato di convincere Saladino circa la legittimità delle tre grandi religioni, quest’ultimo, gettandosi ai suoi piedi, disse a Nathan: “Nathan, caro Nathan! I mille e mill’anni previsti dal tuo giudice non sono ancora trascorsi… Il suo tribunale non è il mio… Va’!… va’!… Ma sii mio amico!”



Con queste parole la lascio e mi auguro di poterne ridiscutere in luoghi appropriati, ovvero dove l’obiettivo comune sarà – se saremo lì e, quindi, per forza di cose - quello di lavorare e riflettere sul senso di appartenenza in seno ad una società che di tutto ha bisogno tranne che della violenza in risposta alla violenza.

Sarebbe anche opportuno, nello stesso ambito, chiarire una volta per tutte il significato del termine “insegnamento”, ovvero quell’atto che consiste nel donare a chi “ancora non sa” tutti quegli strumenti cognitivi, affettivi ed emotivi che gli permetteranno in seguito di appropriarsi del sapere in modo autonomo, riflessivo e consapevole.



Alberto Giuffrida

Psicologo Clinico e Docente

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